Cittadinanza onoraria di Hinterbruhl

KURIER del 25 ottobre 2020 (Barbara Mader)

L’ORRORE RESTO’ PARTE DELLA SUA VITA

Memoria: Marcello Martini aveva 14 anni quando fu deportato nel campo di concentramento che sopravvisse fu il primo miracolo il suo gesto di riconciliazione il secondo

I fatti: 1944 Arrestato; Marcello Martini viene deportato a 14 anni nel campo di Hinterbruhl

1945 liberato a Mauthausen, Martini era sopravvissuto alla marcia della morte e può tornare in Italia

1989: Onoreficienza. Il memoriale sull’area dell’ex campo di concentramento di Hinterbruhl viene inaugurato nel 1989 diventa per Martini un Sacrario, il suo sacrario. Martini muore nell’agosto 2019, viene nominato cittadino onorario postumo dal comune di Hinterbruhl

Questa incredibile storia di pace e riconciliazione inizia sotto il nome “Aragosta”, nome di copertura della fabbrica sotterranea delle Seegrotte dove lavoratori coatti dovettero lavorare per la Wehrmacht tedesca. Qui in questo sottocampo del campo principale di Mauthausen l’italiano di soli 14 anni Marcello Martini fu uno dei deportati.

Imprigionato e torturato quasi fino alla morte perché lui e suo padre partecipavano alla Resistenza militare contro l’occupante nazista tedesco e qui in questo luogo del crimine, che oggi è ricordato attraverso un memoriale, dopo la morte di Martini per sua volontà dovrebbe venir sotterrata una parte delle sue ceneri perché Marcello, così dice Mariella la vedova di Marcello, voleva fare di tutto per impedire l’oblio, voleva mantenere in vita la memoria e dare una voce a tutti coloro che persero allora la vita in condizioni così terribili.

La vedova di Marcello ha vissuto più di 70 anni a fianco del marito e aggiunge “questo luogo in qualche modo è stato una parte della sua vita, qui lui guardava dentro l’anima delle persone”

Mariella e Marcello si sono conosciuti nel ’48 all’età di 18 anni, sono rimasti insieme fino alla sua morte nell’agosto del 2019. Una parte della cenere di Marcello è stata adesso sotterrata sotto una lapide commemorativa ad Hinterbruhl.

Là dove non molti anni fa è nato un luogo di memoria che non ha visto il consenso di tutti gli abitanti la domanda è se Mariella può capire le motivazioni del marito: si, anche se non è così facile da comprendere; mio marito ha percorso una via molto lunga da un sostanziale silenzio durato per decenni fino al superamento della vergogna e del pudore fino al coraggio di parlarne ed adesso alla fine fino al perdono perché la vendetta non l’ha voluta mai.

Per una vita intera

Jakob Mitterhoffer conobbe Marcello Martini quando nel 2003 diventò parroco; quando gli chiese come gli fosse riuscito il perdono lui disse “bisogna perdonare se stessi per quello che si è passato, bisogna smettere di lamentarsi perché è successo e bisogna essere fedeli a se stessi”; il pudore di parlare di quei fatti così terribili è un pudore che conoscono anche persone molto malate, dice Mitterhoffer, chi riesce a superare questo pudore può parlare anche di tutti quelli che gli hanno fatto del male. Questo percorso incredibile è durato per Marcello una vita intera.

E’ stato il 9 giugno del ’44 quando le SS circondarono la casa dei Martini nelle vicinanze di Firenze; in realtà il loro obiettivo era il padre Mario che lottava nella Resistenza ma lui riuscì a scappare ed al posto suo arrestarono il figlio, un bambino. Lui fu portato prima in un campo di transito vicino a Bolzano e poi a Mauthausen e poco dopo ad Hinterbruhl.

“Ci hanno detto che eravamo qui per lavorare per la grande Germania e che erano molto generosi nel permetterci di poter vivere perché noi eravamo proprio la feccia dell’umanità, eravamo banditi, sovversivi, asociali; sarebbero stati ben felici di ucciderci se qualcuno non lavorava bene o faceva atti di sabotaggio” scriveva Marcello Martini

Di giorno e di notte

Di giorno e di notte i prigionieri dovevano lavorare come schiavi, erano stati deportati da tutta Europa ed in queste gallerie sotterranee che erano il risultato di lavori di scavo per l’acqua.

Dopo che ci fu un crollo enorme all’interno sorse un lago che fu aperto nel 1932 come “grotta del lago “ (Seegrotte). Quando i nazisti cercarono un luogo al sicuro dalle incursioni aeree per produrre aereoplani scelsero proprio questa grotta.

L’acqua veniva tolta e si misero a lavorare dei lavoratori coatti a fianco, però, di lavoratori specializzati del luogo per costruire parti di aerei; venivano sorvegliati da guardie del lager e chi non si comportava come doveva secondo loro veniva torturato, frustato con cavi elettrici oppure fucilato.

Gruppi di SS vennero da Vienna per visitare il lager; per dimostrare quanto fosse efficiente il filo spinato elettrificato ci buttavano addosso dei prigionieri facendoli morire sotto atroci sofferenze.

Negli ultimi giorni di guerra nel ’45 il lager fu liquidato e si costrinsero i prigionieri a fare una marcia lunga 207 Km per raggiungere il lager principale di Mauthausen, cosa che in pochi riuscirono a fare, infatti solo in pochi sopravvissero alla marcia.

Il 1 aprile del ’45 sul piazzale dell’appello del campo di Hinterbruhl furono radunati più di 1000 deportati provenienti anche da altri campi, avevano indumenti lisi e distrutti, le teste rasate e soprattutto avevano paura, si sentiva che “qualcosa era nell’aria” scrive anche Martini nelle sue memorie, cosa sarebbe successo? Avrebbero ucciso anche loro nelle gallerie? Ed in un angolo del piazzale c’era un rimorchio sul quale c’erano dei fagotti avvolti in carta bianca: erano i corpi di quei malati che non erano più in grado di camminare e che erano stati ccisi nella notte precedente con una iniezione di benzina nel cuore.

Un corteo infinitamente lungo

Alcuni cittadini di Hinterbruhl hanno in seguito raccontato di quella domenica di Pasqua quando loro uscirono dalla Messa e videro quel corteo che sembrava senza fine che si muoveva davanti a loro erano persone disperate, pallide, distrutte.

Seguì per loro una marcia che sarebbe durata otto giorni, piena dui fame e di un freddo gelido; ai margini delle strade che percorrevano giacevano i cadaveri di coloro che erano stati fucilati per strada.

Marcello sopravvisse grazie alla sua gioventù ed all’aiuto di alcuni dei suoi compagni.

A Mauthausen lui fu accolto dall’odore di carne bruciata del crematorio.

Dopo la liberazione del campo di Mauthausen il 5 maggio del ’45 Martini tornò in Italia: era diventato un altro, smagrito, calvo, silenzioso. La madre e la sorella riuscirono a riconoscerlo solo per i suoi occhi.

Marcello superò la maturità e gli studi universitari e diventò per l’appunto ingegnere aereonautico

Non parlò mai di quello che era successo, il suo lavoro lo portò spesso all’estero, in America ed anche in Germania ; “quando sentivo parlare la lingua tedesca lui si ammutoliva, anzi si indispettiva” ricorda la figlia Alessandra.

“Per molto tempo riuscivamo solo ad immaginare quello che accadeva dentro di lui, dice Mariella, una volta, sarà stato alla fine del 1960 mi fece quasi paura. A Torino stavano manifestando violentemente delle persone di estrema destra; il volto, l’espressione di Marcello cambiò in modo repentino, stava diventando un altro e disse che non dovevo rivolgergli la parola.

Anni dopo, eravamo invitati ad una serata, ed al nostro tavolo sedeva un giovane tedesco; era il periodo della dittatura militare in Argentina e si parlò dei campi che c’erano là ed alcuni li paragonavano ai campi di concentramento in Europa. Il tedesco disse che questi campi in realtà non erano esistiti Marcello improvvisamente cambiò atteggiamento………….

Marcello Martini aveva parlato solo una volta della sua storia, dopo decenni di silenzio durante la sua prima visita a Mauthausen, poi iniziò a parlare della vita nel campo, iniziò ad elaborare quello che aveva vissuto parlò davanti ad un pubblico e sempre più spesso andò a visitare Hinterbruhl ed infatti il memoriale diventò il suo Sacrario.

Marcello Martini è morto nel 2019 all’età di quasi 90 anni, ultimo deportato di Hinterbruhl.

Non si dovrebbe parlare troppo, diceva, del perché, si dovrebbero superare le cose